Conoscete il paradosso dell’asino di Buridano? Passeggiando su un prato, ad un certo punto si imbatté in due bei mucchi di fieno, entrambi ugualmente invitanti: non sapeva quale mangiare e, non riuscendo a decidersi, lasciò passare minuti, ore e poi giorni. Finì per morire di fame.
Nella vita quotidiana capita a tutti di essere indecisi, per piccole cose, o per grandi scelte. A volte l’indecisione diventa uno stato cronico, con una forte tendenza a rinviare, e può trasformarsi in inattività totale o tendenza a delegare tutte le scelte.
L’indecisione è un problema? Dipende dal grado di intensità e dalla misura delle cose che si “evitano”. L’indecisione può essere una caratteristica di personalità, quindi un tratto che può aumentare o diminuire in base alle circostanze. Oppure può essere il sintomo di un disagio emotivo legato ad ansia e depressione: in tal caso non va trascurato.
Nella mia attività clinica molte persone mi consultano perché non riescono a prendere una decisione, a fare una scelta:
“Non so cosa voglio dalla mia vita.”
“Ho tutto, ma mi manca qualcosa, non so cosa”
“Resto con mio marito?”
“Lascio la mia ragazza?”
“Il lavoro che faccio non mi piace, provo a cambiare?”
“Quale percorso scolastico scelgo?”
Man mano che il percorso procede, emerge la difficoltà a decidere per timore di sbagliare, perché si vuole compiere la scelta sicuramente giusta, oppure emerge il lamento per non aver scelto ciò che si avrebbe voluto o il rammarico per aver rinviato la realizzazione di un’ambizione.
A cosa può essere legata l’indecisione?
– Insicurezza
– Bassa autostima
– Scarsa fiducia in se stessi
– Paura del futuro
– Perfezionismo
– Disturbo ossessivo compulsivo
– Disturbo dipendente di personalità
Questi elementi non sono causa, né effetto dell’indecisione, ma sono ad essa correlati e possono essere ricondotti ad un unico denominatore comune: il conflitto tra desideri e motivazioni “coscienti” e desideri “inconsci”.
La difficoltà o l’impossibilità a prendere decisioni, segnalano la paura di entrare in contatto con la parte sconosciuta di sé. Conoscere e vivere questo lato del proprio essere è desiderato perché è lì che risiede la parte più vera di sé stessi, quella indipendente dalle aspettative dell’Altro, quella che distingue da tutti gli altri; ma è anche temuto, perché ci sono scelte in grado di segnare uno stacco nel percorso di una vita e i cui effetti non possono essere del tutto previsti in anticipo.
Si è in grado di accettare le conseguenze della separazione dall’Altro?
L’”indeciso”, preferisce lamentarsi di “ciò che sa” invece di rischiare “ciò che non sa”.
L’indeciso rimugina sugli stessi problemi per periodi molto lunghi, più rimugina, più rimanda, più si sente inadeguato.
L’indeciso vuole fare la scelta sicuramente ed incontrovertibilmente esatta, quindi non agisce ed evita di decidere.
L’indeciso evita le attività che richiederebbero impegno e precisione perché sa che, a causa delle proprie aspettative esagerate, avrebbe l’attenzione ossessiva per ogni minimo dettaglio.
E quindi?
Come si impara ad assumersi le proprie responsabilità decisionali? Come si esce dal circolo vizioso della “non scelta”?
Intanto, bisogna prendere atto di questo: se io non scelgo, qualcun altro lo fa per me.
Chi è questo Altro?
Mi sta bene che un Altro scelga al posto mio? La risposta può essere sì, perché se l’Altro sceglie al mio posto io non rischio nulla, è tutto molto più comodo. Se la risposta è no, allora è ora di rimboccarsi le maniche.
La differenza tra vivere e sopravvivere è data dalla presenza, o meno, della dimensione del “desiderio”: esso è una spinta propulsiva vitale, un movimento che anima la persona verso qualcosa, nella direzione di uno o più obiettivi. Le mete possono riguardare il lavoro, la vita privata, hobby, interessi, la vita sentimentale. La sua carica non si esaurisce col raggiungimento dello scopo. Il valore non è nell’obiettivo, ma nel piacere del percorso. Genera continuamente idee, produce movimenti, origina atti creativi. Si rinnova e rinvigorisce. Tali creazioni dicono qualcosa della persona, ne portano il segno distintivo, sono la cifra di ciò che la contraddistingue da tutti gli altri.
Se c’è il desiderio soggettivo, si percepisce di esistere, si avverte che la propria vita ha un senso. Al contrario, ci si lascia vivere. Sì, si vive la vita di un altro.
La nevrosi, nella clinica di Freud e di Jacques Lacan, è un inciampo, un disturbo, o un problema più consistente, ma sempre nel campo del desiderio, inteso in questi termini.
– “Non trovo soddisfazione nel lavoro che svolgo”
– “Non so decidermi: la lascio o resto con lei?”
– “Ho un blocco nello studio, ad un certo punto non sono più riuscito a presentarmi o a superare gli esami.”
– “Non c’è nulla che mi interessa, faccio fatica a fare qualsiasi cosa: a lavoro, a casa, col partner, con gli amici.”
– “Vorrei che restasse tutto uguale, non voglio scegliere se accettare o rifiutare.”
– “Non tollero i cambiamenti.”
C’è “desiderio” solo se c’è distacco e separazione dal progetto dell’Altro: sganciandosi dalle attese dell’Altro, si può creare in prima persona qualcosa di nuovo, si accetta di assumere su di sé il rischio del proprio progetto e la soddisfazione del proprio atto creativo.
L’Altro è l’altro genitoriale, l’altro sociale.
L’esperienza del desiderio implica un movimento verso l’Altro, senza ridursi alla soddisfazione dell’Altro e delle sue aspettative.
La fecondità del desiderio esprime la possibilità di trovare soddisfazione nel legame con l’Altro, senza esserne schiacciato.
Ognuno può trovare la propria strada, unica e irripetibile, legando in modo originale il proprio desiderio e la relazione con l’Altro.