La perdita di una persona cara è sempre un evento doloroso, è una delle esperienze più dolorose che si possa affrontare.
È una perdita irreversibile: a livello razionale sappiamo che la morte è questo, a livello emotivo invece resta quasi totalmente inaccettabile.
La psicoanalisi afferma che nell’inconscio non c’è un significante che rappresenti la morte, la fine definitiva. E’ capitato a tutti, almeno una volta nella vita, di sognare la propria morte: nel preciso istante della dipartita possono accadere due cose, o ci si ritrova subito trasformati in qualcosa o qualcun altro, oppure ci si sveglia improvvisamente.
Il vuoto, il nulla, non sono rappresentabili.
Il lavoro del lutto è il processo attraverso il quale si realizza profondamente la scomparsa della persona cara. E’ un vero e proprio lavoro: faticoso, lento, certosino. Subisce accelerazioni e battute di arresto che possono durare molto a lungo. L’esito è sempre incerto e parziale.
La posta in gioco è alta: trovare un nuovo posto nel cuore e nella mente dove collocare la persona amata che non c’è più.
La persona amata è una immagine, un ideale, è l’altro polo di una relazione che suscita un insieme di emozioni che sono sempre contrastanti.
La persona cara è un corpo. La cosa più dura da accettare è non avere un sostituto del corpo. Un corpo da toccare, un odore unico da evocare, una voce.
Quello del defunto è un corpo che non c’è più, un corpo unico e insostituibile.
Accettare questo è uno dei nodi più ostici da sciogliere.
Ogni morte è un evento tragico, ma ci sono alcune modalità di scomparire che lasciano un compito molto più arduo per chi resta: incidenti stradali, incidenti sul lavoro, catastrofi naturali (terremoto, alluvione), infarto, ictus.
Apprendere la notizia della morte improvvisa di una persona cara suscita immediatamente uno shock: incredulità, negazione dell’accaduto. E’ qualcosa che non si riesce proprio a pensare.
Seguono paralisi emotiva, poi rabbia, tristezza, paura: le emozioni e la negazione delle stesse si alternano in modo scomposto, con tempi e modalità diverse da persona a persona.
Non c’è un modo standard di vivere il lutto, di elaborare la perdita, non ci sono tempi né modalità tipiche.
Ognuno ha diritto a vivere il dolore come vuole, o come può.
Non si può accorciare il tempo del dolore.
Nella morte improvvisa però, c’è un rischio in agguato di cui tenere conto.
Il trauma dovuto alla mancanza di preavviso.
La morte è sempre senza preavviso, ma in alcune situazioni di più. E questo può determinare uno shock aggiuntivo che rende ancora più difficile elaborare la perdita.
Si può verificare un disturbo da stress post traumatico, ovvero una serie di sintomi che indicano un blocco nell’elaborazione del trauma: incubi ricorrenti, flashback dell’evento, insonnia, rabbia incontrollata, tristezza diffusa e persistente.
Una morte improvvisa può cambiare il clima emotivo della vita di una famiglia per tantissimo tempo e modificarne il normale decorso. Com’è, o come dovrebbe essere la vita normale di una famiglia? Attimi di gioia e attimi di rabbia, tempo di gioco e tempo di riflessione, momenti di studio, di lavoro e momenti di riposo, situazioni tranquille e serene ed eventi litigiosi.
Un’alternanza unica ed irripetibile per ogni nucleo familiare.
La morte improvvisa di una moglie o di un marito, di una mamma o di un papà, di un figlio, di un fratello o di una sorella getta una coltre scura sulla famiglia, una nebbia fitta che confonde la vista, una terra appiccicosa che rallenta ed invischia i passi dei suoi membri.
Il dolore troppo grande fa scattare meccanismi di difesa molto forti; così può accadere che una mamma faccia finta di nulla, neghi il suo dolore che resta nascosto in un angolo della mente, ma non cessa di trascinare giù l’umore. Può succedere che un papà nasconda il suo dispiacere dietro una eccessiva rigidità, e con atteggiamenti impulsivi e rabbiosi. Può diventare difficile sopportare i momenti di svago e di gioia, o la naturale vivacità dei bambini.
Potrebbe accadere che i bambini imparino a non dare più fastidio, diventano bravissimi per non disturbare il dolore nascosto, ed allo stesso tempo evidente, dei genitori. Oppure che diventino iperattivi, disturbati e disturbanti fuori misura per segnalare il proprio dolore che chiede a gran voce di essere ascoltato.
Tutti questi comportamenti sono da considerare normali se durano un periodo di tempo limitato.
Se vanno avanti per troppo tempo potrebbero cronicizzare: depressione, ansia, alcolismo, dipendenza da gioco ecc…
Non poter esternare il dolore, non poterne parlare, o perché non si vuole, o perché non ce n’è l’occasione, significa condannarsi a bloccare la vita.
Elaborare la morte significa trovare un posto a qualcosa che un posto non ha, per permettere alla vita di fluire ancora, come è nella natura delle cose.
Una menzione a parte spetta alla morte per suicidio. Entrano in gioco ulteriori fattori psicologici che complicano ancor di più l’elaborazione della tragedia per chi resta: “Potevo fare qualcosa?” “Come ho fatto a non accorgermi che stava così male” “Perché non ha pensato al dolore che mi avrebbe inflitto?” Spesso si tende a nascondere la verità ai bambini, lo si fa a fin di bene, per non farli soffrire, invece questo crea il terreno favorevole per fantasie nefaste e sensi di colpa.
Di fronte all’imprevedibilità della vita può scattare un meccanismo di difesa bizzarro: il senso di colpa. Si preferisce credere che si sarebbe potuto fare qualcosa anziché cedere all’idea che nella vita ci sono molte, moltissime cose che sfuggono al nostro controllo. Naturalmente è un meccanismo di difesa inconscio.
L’unico modo di superare il dolore è quello di passarci in mezzo.
Ogni componente della famiglia dovrebbe avere la possibilità di esprimere quello che sente, in particolare i bambini. I loro comportamenti vengono spesso scambiati per capricci, invece sono tentativi di comunicare le loro emozioni, il loro sentire. Un genitore preso dal suo dolore difficilmente sarà in grado di sintonizzarsi sul dolore del figlio e, spesso, si finisce per chiudersi, in solitudine, ognuno nella sua bolla di sofferenza.
Sarebbe opportuno un servizio di pronto soccorso psicologico strutturato per le situazioni che ho descritto, per evitare il disturbo da stress post traumatico, per scongiurare la cronicizzazione di tutti quei malesseri che sono una risposta normale per degli eventi eccezionali.
Non c’è, questo pronto soccorso, purtroppo. Forse in qualche rara realtà.
Io come professionista posso fare, nel mio piccolo, la sensibilizzazione su questo tema perchè lavoro spesso con persone che si portano le conseguenze di lutti prolungati e difficili.
Difficilmente chi subisce un lutto improvviso chiede aiuto, ma le persone più vicine e coinvolte più marginalmente, possono suggerire un aiuto specialistico, con particolare attenzione ai bambini, ai quali un aiuto tempestivo può semplificare notevolmente la vita.
Comunque, anche da adulti, anche se è passato tanto tempo, non è mai troppo tardi per tirare fuori il dolore e trasformarlo in nuova vita.