Dipendenza affettiva e sindrome dell'abbandono

Dipendenza affettiva e sindrome dell’abbandono

Mi giungono storie di amori difficili, sofferti, impossibili, affazzonati, portati avanti da, non si sa bene, quale ideale. 

Difficoltà, momenti di stallo, problemi, crisi, fanno parte di un percorso di coppia, ma devono essere l’eccezione, non la regola.

Spesso, ciò che impedisce la naturale conclusione di un rapporto di coppia, è la paura di restare soli.

La cosiddetta “dipendenza affettiva”, limita la vita di una persona, la sua forza vitale, la sua capacità di essere, la possibilità di amare e di essere amati. Il “dipendente affettivo” si sottomette ad un padrone che non è, così come sembrerebbe, il proprio partner.

Ciò di cui è schiavo è la necessità di essere riconosciuto come essere degno di vivere esclusivamente attraverso i segni di interesse e l’approvazione dell’altro.

Ma questi segni non bastano mai.

Allora il “dipendente” chiede e pretende, continuamente, conferme. E’ rivendicativo, esige ripetutamente i segni d’amore. Senza, si sente perduto. Oppure è sottomesso all’altro, dice sempre sì, non ha idea di cosa sarebbe meglio per lui, mentre sa benissimo cosa vuole il partner. Lavora sodo, si prodiga in mille attenzioni, al fine di guadagnare l’amore. 

Ma non basta mai, perché cerca la soluzione ad una domanda mal posta: nell’Altro troverò ciò che mi manca per sentirmi completo? 

La risposta è no. 

Bisogna riformulare la domanda. Cosa posso fare per sentirmi completo? O meglio, è possibile sentirsi completi?

Paradossalmente, in questo modo si allontana l’oggetto d’amore, piuttosto che portarlo a sé.

Le dipendenze, tutte, svolgono una funzione: proteggere da qualcosa percepito come troppo doloroso, che non si vuole affrontare perché non si ritiene di esserne capaci o perché se ne è terrorizzati. Questo qualcosa ha sempre a che fare con la relazione con se stessi o con le altre persone: paura di non valere abbastanza, timore di affrontare delle difficoltà personali, sgomento di fronte all’imprevedibilità del rapporto con l’altro.

Il dipendente affettivo, uomo o donna, può apparire una persona timida e insicura, ma anche come una persona decisa, sicura di sé, affermata e riconosciuta professionalmente. Il lato emotivo e affettivo di una persona può non coincidere con ciò che si vede nell’apparenza e nell’esteriorità.

“Non valgo niente”.

“Sono sfortunato”.“Nessuno mi amerà mai”. 

“Cosa devo fare per tenere la mia ragazza?”

“Ho fatto tutto per lui, ora mi lascia e se ne va”.

“Non troverò nessun altro dopo di lui”.

Talvolta non si è consapevoli, non si è in grado di capire da cosa si fugge.

Si parla di dipendenza affettiva prevalentemente quando riguarda il partner sentimentale, ma la stessa dinamica può verificarsi anche con un amico o con il proprio figlio. Il meccanismo è lo stesso: chi sviluppa questo tipo di dipendenza accarezza il desiderio, illusorio, che l’altra persona (partner, amico, figlio) possa risolvere tutti i propri problemi, possa fornire risposte giuste e soluzioni, possa alimentare la propria autostima, possa risolvere il senso di solitudine.

Spesso, l’intensità di un rapporto, viene scambiata con l’intimità effettiva tra i partner, mentre non è così.

Quando le illusioni cadono, e succede sempre, i dipendenti affettivi vivono grandi sofferenze, si sentono pieni di risentimento e possono diventare distruttivi verso se stessi e verso gli altri.

“Cosa ho che non va?”

“Io ho fatto tanto per lei, è un ingrata!”

Le cause della dipendenza affettiva? 

Sicuramente c’è stata una ferita d’amore vissuta nell’infanzia: la percezione di un abbandono o una trascuratezza affettiva. Se non elaborata, tende ad essere ripetuta nel corso della vita dirigendosi inconsciamente verso situazioni che ricalcano il trauma provato.

Questi vissuti sono indipendenti dalla gravità dei fatti realmente accaduti: si può vivere l’abbandono semplicemente perché uno o entrambe i genitori era sempre a lavoro, così come è possibile non avere degli strascichi tragici nonostante il padre o la madre abbiano effettivamente “lasciato” il figlio, con la separazione, il divorzio o la morte.

I traumi sono ferite solo se la persona li vive come tali. L’insicurezza affettiva ha a che fare con l’autostima, con il timore della solitudine, con la paura dell’intimità emotiva.

Queste paure possono essere più o meno coscienti.

Come affrontare la dipendenza affettiva e la sindrome dell’abbandono? 

E’ necessario un processo di scoperta di sé: svelare quale desiderio più o meno inconscio si desidera ottenere nelle relazioni, quali aspettative si hanno, quali bisogni si vuole colmare. E’ opportuno mettere luce sui comportamenti che si mettono in atto. Si tratta di rileggere la propria storia personale e attribuire nuovi significati e nuovo valore a ciò che si è vissuto.

Perché il passato non si può cambiare, ma la lettura dei significati ad esso conferiti sì, si può eccome.

Per fare tutto questo è necessario il riconoscimento del problema. Spesso i dipendenti affettivi attribuiscono la loro sofferenza alla sfortuna, agli altri, si cade nel meccanismo del vittimismo:

“Perché gli altri sono felici e io no?”

E’ la cosiddetta ‘bella indifferenza’, ovvero, si crede erroneamente che non ci si entri nulla con il disordine che si lamenta. Invece ognuno è responsabile di quello di cui soffre. Parlo di responsabilità, non di colpa. Non si decide ciò che la vita riserva, ma si stabilisce quello che fare di ciò che si vive: significati, scelte, comportamenti.

Molte di queste prese di posizione sono nell’inconscio. Elaborare è questo: renderle consapevoli per non esserne schiavi. In questo modo si spezza il circolo vizioso:  la speranza inconscia che, rinunciando a se stessi, si trova un contenitore sicuro per le proprie insicurezze e per le proprie paure che portano ad annullarsi. Affrontare ed elaborare i sentimenti dolorosi collegati ai propri bisogni primari che non sono stati soddisfatti, alla propria rabbia, al vuoto interiore, permettono di smettere un tipico modo, infantile, di rapportarsi all’altro:

“Se faccio il bravo, l’altro mi amerà e non mi lascerà.”

Invece non funziona così.

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