Tutti hanno sperimentato quanto le emozioni ed i vissuti personali incidano sull’appetito e nel rapporto con l’alimentazione: il nervosismo che porta a spiluccare cibi perlopiù spazzatura, la paura che chiude lo stomaco, la gioia intensa che rende il cibo superfluo perché ci si sente sazi di altro, l’insoddisfazione che porta a mangiare più del dovuto, l’infelicità e la solitudine che spingono a mangiare da soli e lontani dalla tavola dell’altro.
Mangiare è molto di più che la semplice soddisfazione di un bisogno primario, quello di nutrirsi per sostentarsi, per alleviare la sensazione fisica della fame: il complesso mondo interiore di ognuno e le emozioni influenzano in modo significativo l’appetito e il modo di mangiare, il nutrirsi chiama in causa il legame sociale, la convivialità, la cultura.
L’alimentazione si intreccia da subito alla relazione con l’altro sin dall’inizio della vita. La mamma che allatta il suo bambino, nutre il corpo, ma fa passare qualcos’altro di più importante: la sua presenza, l’amore, la cura. Infatti, il bambino cerca il seno anche quando è sazio fisicamente e gli si dà il ciuccio come sostituto … è noto quanto sia difficile toglierlo!
Il genitore che fa trovare al proprio figlio la sua merenda preferita, e non una qualsiasi, testimonia che l’interesse per il figlio va oltre il nutrimento del corpo.
Una particolare forma di protesta passa attraverso il rifiuto del cibo.
A livello individuale, il cibo è spesso un mezzo per consolarsi nei momenti di tristezza o di nervosismo o per alleviare momenti di noia, quando si è felici o innamorati, ci si sente “sazi” e non si ha appetito.
A livello sociale, il cibo è usato per da sempre per festeggiare i momenti importanti della vita e testimonia la particolarità della cultura attraverso i piatti tradizionali.
L’educazione alimentare dovrebbe passare attraverso l’amore per se stessi, il rispetto la cura e l’accettazione del proprio corpo anche e soprattutto se imperfetto. Il cibo dovrebbe essere considerato come alleato grazie al quale crescere, fortificarsi e come momento di condivisione.
L’alimentazione dovrebbe valorizzare il piacere di stare insieme e il gusto per la scoperta del nuovo.
E’ noto anche quanto sia complicato modificare le proprie abitudini alimentari, una volta acquisite, o eliminare un comportamento chiaramente dannoso per se stessi, o più semplicemente decidere di seguire una dieta e portarla a termine.
Mangiare è un bisogno primario, ma non ha a che fare con l’istinto, ovvero non segue regole predeterminate geneticamente. Il rapporto di ogni singolo individuo con l’alimentazione è il risultato di complessi fattori individuali, sociali, culturali, familiari.
Il cibo ha a che fare con la relazione con l’altro: è mezzo di cura, di interesse o di ricatto.
L’alimentazione è legata alle norme ed alle abitudini familiari, amate o odiate.
“Siamo ciò che mangiamo” quindi nutrirsi significa diventare ciò che si assume: qualcosa di sano oppure una schifezza.
Il legame con il cibo è lo specchio della relazione col proprio corpo, rapporto sempre ambivalente.
Ci sono numerose situazioni in cui il rapporto con il cibo assume la forma di un vero e proprio disturbo:
Anoressia: il rifiuto del cibo, le diete estreme, il controllo ossessivo del peso sulla bilancia, il non piacersi mai
Bulimia: le abbuffate compulsive, la perdita del controllo, il vomito autoindotto, le condotte di purificazione
Obesità psicogena: il corpo deformato, appesantito, che suscita vergogna e disagio
Ortoressia: l’ossessione per il mangiare sano, la fissazione per la qualità del cibo che porta a gravi squilibri nutrizionali e…relazionali, esattamente come gli altri disturbi alimentari più conosciuti.
Tutte queste forme di rapporto non sereno con l’alimentazione nascondono una sofferenza profonda, una fragilità, un dolore, che ha trovato il campo del nutrimento come valvola di sfogo. Il cibo come pensiero centrale della propria esistenza, spesso è la soluzione immaginaria alla sofferenza ed alla infelicità.
Sensi di colpa, rabbia, umore depresso, ansia: questo prova chi ha un rapporto non sereno col cibo. Ma difficilmente chi soffre di disturbi alimentari chiede aiuto, più spesso sono le persone care a loro vicine ad intuire che qualcosa non va, ed a chiedere soccorso.
Mettere in parola la propria sofferenza, accogliere ed attraversare il dolore che si camuffa dietro il sintomo alimentare, elaborare le vere cause dell’infelicità e trasformarle in energia positiva e costruttiva per la propria vita: trasformare il disturbo alimentare implica fare tutto questo.
Non è facile, ma possibile. E doveroso per vivere una vita autentica e piena.
C’è Margherita, 40 chili, che nasconde dietro il no al cibo un disperato bisogno di amore autentico, e non di oggetti, da parte della famiglia.
Poi Ortensia, 125 chili, che nasconde la paura della relazione con l’altro sesso dietro strati di carne e grasso.
Viola, un fisico normale, e nessuno intorno a lei si è mai accorto che si abbuffa e vomita da 20 anni: non ha mai elaborato l’abuso sessuale subito in adolescenza.
Rosa, ossessionata dai cibi salutari, tratta in questo modo l’ansia e una paura terribile di vivere la vita con tutta la sua imprevedibilità.
E tu, quale dolore nascondi dentro di te?
Nel link di seguito una mia intervista sul canale televisivo Emmetv
www.emmetv.it/2017/12/01/emmesera-anoressia-bulimia-e-rete-parla-la-psicologa-giselle-ferretti-2/