Arriva un momento della terapia in cui la persona fa i conti con qualcosa di nuovo, di buono.
C’è dello stupore, non sa bene come sia potuto accadere. Certo, lo sperava, altrimenti non si sarebbe affidata, eppure è successo. Ma come?
“Sto bene. Non so, forse solo parlando qui….”
“Quante cose vengono fuori qui.”
“Se sapevo che era così, sarei venuta prima.”
“Dottoressa, ma lei lo sapeva? Perché non me lo ha detto prima?”
Come è possibile curare parlando? Eppure parliamo tutti i giorni, con tante persone diverse.
La parola e il linguaggio sono i mattoni dell’essere umano, noi siamo fatti di parole e di relazioni. L’essere umano costruisce la propria identità attraverso questi elementi base.
Le parole permettono di nominare noi e il mondo che ci circonda, ci permettono di costruire un senso, ci rendono possibile pensare, immaginare, fare. Il linguaggio è il sistema di regole che rende la comunicazione condivisibile. La relazione tra esseri umani è elemento indispensabile per una vita propriamente umana. E la relazione si costruisce sulla comunicazione, fatta di parola e di linguaggio.
Perché la parola può essere curativa?
Sappiamo bene quanto le “semplici” parole possono ferire.
Le parole sono pietre: quelle pronunciate dalla madre, dal padre, dai nonni, dagli insegnanti, dal partner, si fissano nella mente e nel cuore.
Le parole si incarnano nel corpo. Le parole non dette si incistano e provocano grossi malanni.
Le parole leniscono. E creano.
La realtà, i ricordi, la vita stessa sono costruita da parole e linguaggio.
Ma la parola è un simbolo, non un segno.
Le parole non sono oggettive, non hanno un significato univoco. Le parole sono sassi che delimitano un percorso. Immaginiamo un sentiero in un bosco. Si è “scelto” quel percorso, si può percorrere avanti e indietro, fare sempre quello fino a scavarlo.
Ma se ne può tentare un altro.
Il bosco, i sassi, sono quelli; ma la strada da percorrere diversa.
Si spostano le pietre, si può costruire un nuovo percorso, quindi vedere gli alberi, la vegetazione, il profilo delle colline o delle montagne in un altro modo.
Stupore!
Una volta imparato il trucco, poter cambiare strada, senza che accada una catastrofe, si può tentare un altro percorso ancora.
Si può fare, e si fa, da soli.
O affidarsi a qualcuno che sa che ci sono tante alternative.
Lo sa per certo. Ma non sa quale sia la migliore per quella persona. La accompagna, incoraggia, mostra pericoli. Ma sa che la persona ha tutte le risorse necessarie per potercela fare da sola.
Ogni essere umano ha dentro di sé le risorse, i mezzi, le possibilità di superare gli ostacoli, di costruire una vita piena e soddisfacente, ma spesso, spessissimo, se lo dimentica. Per mancanza di fiducia, per pigrizia, per indolenza.
Perché per poter essere “umani” sono sempre necessari l’incontro e la relazione.
Per crescere, per essere, per divenire.
Ma le relazioni fanno soffrire, sono pericolose. Relazioni familiari, sociali, lavorative. L’altro ha delle aspettative. Noi abbiamo delle aspettative. Per un incontro autentico è necessaria l’apertura alla diversità e la disponibilità a mettersi in discussione.
Così accade che nella stanza dello psicologo si parla come in tutti gli altri luoghi, ma non è la stessa cosa.
Ci sono degli effetti là fuori, nel mondo reale. Perché ci sono stati effetti nell’altro mondo, quello interiore, che è la lente attraverso la quale leggiamo quello che succede di fuori.
Questo può accadere perché c’è un legame di fiducia, ma anche una distanza di sicurezza, tra lo psicologo e la persona che gli si rivolge.
Non tutte le parole sono uguali. Esiste la “parola vuota”, il bla bla bla che porta in nessun luogo, che gira intorno a se stessa e dice nulla. Riempie, ma non è la sostanza. Come la nebbiolina dei bouquet di fiori.
Poi c’è la “parola piena”, quella che dice qualcosa della persona della sua storia, del suo modo di essere. Il corpo della persona, il fiore protagonista del bouquet.
Quando circola la parola piena tra due persone con un legame, si crea un varco, si avvia un processo di cambiamento che porta a diventare se stessi, a scoprirsi, a costruirsi, a far entrare la luce.
Ho scritto questo articolo qualche mese fa dopo che, l’ennesima persona in studio ha pronunciato la fatidica frase “…ma non so, sto meglio, solo parlando, com’è possibile…”.
Ci sono studi scientifici, neurobiologici, che, dati alla mano, dimostrano che la psicoterapia ha un effetto concreto e visibile sul cervello, quella macchina meravigliosa, complessa, misteriosa che fa parte del nostro essere umani.
Il cervello ci permette di pensare, capire, immaginare, progettare, sognare. Ma spesso si impunta su alcune cose o gira a vuoto, o sbatte sempre sullo stesso punto, proprio come un uccellino che batte contro il vetro cercando di uscire all’aperto, non vedendo che basterebbe spostarsi poco più in là per ritrovare la libertà e il cielo azzurro.